Il massacro è una metafora morta che divora i miei amici, li inghiottisce senza sale. Erano poeti e sono diventati Reporter Con Frontiere, erano già stanchi e sono diventati ancora più stanchi. "Attraversano il ponte al mattino con un passo leggero"[1] e muoiono fuori copertura telefonica. Li vedo con i binocoli notturni e seguo il calore dei loro corpi nel buio. Eccoli fuggire da esso per ritrovarlo e arrendersi a questo massaggio terrificante. Il massacro è la loro madre veritiera. Quanto al genocidio, non è altro che una poesia classica scritta da generali intellettuali messi in pensione. Il genocidio non si addice ai miei amici, perché è un'opera collettiva e organizzata e le opere collettive e organizzate ricordano loro la sinistra che li ha abbandonati.
Il massacro si sveglia presto, bagna i miei amici di acqua fredda e di sangue. Lava i loro capi intimi e prepara per loro il pane e il tè, poi gli insegna un po' a cacciare. Il massacro è più solidale con i miei amici che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ha aperto loro le porte mentre le altre erano chiuse e li ha chiamati per nome mentre i notiziari non erano interessati che al numero delle vittime. Il massacro è l'unico che ha concesso loro l'asilo senza badare alle loro appartenenze. Non si interessa della loro situazione economica. Che siano poeti o intellettuali, non lo preoccupa. Esso guarda le cose da un'angolazione neutra. Possiede i loro stessi tratti morti e i nomi delle loro vedove. Passa come loro nelle campagne e nelle periferie, e appare improvvisamente come loro nelle notizie urgenti. Il massacro assomiglia ai miei amici ma li precede sempre nei villaggi remoti e nelle scuole per bambini.
Il massacro è una metafora morta che esce dalla televisione e inghiottisce i miei amici senza il minimo pizzico di sale.
[1] Citazione di un verso del poeta libanese Khalil Hawi.
This poem has not been translated into any other language yet.
I would like to translate this poem